Cicignano, due passi nel Medioevo

Cicignano è una frazione del comune di Collevecchio, appollaiata su una collina di quasi 300 metri di altezza, dalla forma raccolta e circolare come sono le mura, perfettamente conservate, che lo circondano come in un abbraccio. Qui, nella serena compostezza di Cicignano, rumori e stress diventano un lontano ricordo.

Brevi cenni di una lunga storia

Il Casalem Cicilianus venne donato, come riportato nel Regesto Farfense, all’Abbazia di Farfa nel 768, ma la sua origine è molto più antica, e di certo è anteriore rispetto a questa data. Infatti, il toponimo Cicilianus sembra legato alla gens dei Cecili che, effettivamente, erano titolari di tenute campestri in Sabina.

L’epoca in cui Ciciliano fu donato a Farfa era davvero incerta, gravata com’era dalle sempre più frequenti e sanguinose scorrerie dei Saraceni, a cui fu messo un freno con la vittoria della Lega Cristiana nel 915.

Questo tuttavia non fu sufficiente a bloccare l’ormai dilagante fenomeno dell’incastellamento: risale a questa fase una nuova donazione di Cicilianus e del suo castello in favore delle Chiese di Santa Maria e San Silvestro, appartenenti comunque al monastero. Seguendo le tracce sulle fonti documentali, lo troviamo nuovamente nominato nel diploma del 1118 di Enrico V, ultimo Imperatore del Sacro Romano Impero.

Nel 1300 ci sono nuove inquietudini nell’area geografica della Sabina: molti castelli si ribellavano all’autorità temporale dello stato della Chiesa, vista la particolare situazione del Papato, nel bel mezzo del periodo noto come “cattività avignonese”. La cattività avignonese non è una parentesi di poco conto, ma interessa il periodo dal 1309 al 1377, e ben sette Papi. Questo fenomeno fu originato dall’annosa disputa tra Bonifacio VIII e il re francese Filippo IV il Bello, il quale venne minacciato di scomunica di fronte all’imposizione di nuove tasse sul clero. Seguirono varie scaramucce diplomatiche, fino al poco simbolico e molto concreto episodio della cattura del Papa nella sua residenza di Anagni e il  regale schiaffo, sonoramente assestato sulla guancia di Bonifacio VIII  da parte di Filippo IV,  sempre nella cittadina laziale: una tale onta che Bonifacio VIII morì dopo poche settimane.

Il suo successore regnò molto brevemente, e arrivò al soglio pontificio, non a caso, un cardinale francese, che prese il nome di Clemente VII e che decise di trasferire la sede papale da Roma ad Avignone. I sette papi seguenti furono tutti francesi e guidarono la Chiesa sotto il diretto controllo della corona d’Oltralpe. La cattività avignonese terminò nel 1377, quando il Papato tornò nella sua originaria sede, a San Pietro, con il Papa Gregorio XI (1370 – 1378). Si riaffermava così il concetto di Santa Romana Chiesa, ben radicato ancora ai nostri giorni.

E proprio dalla cittadina francese, Papa Innocenzo VI incaricò il Cardinale Egidio Albornoz di restaurare l’autorità pontificia nella ribelle Sabina, operazione che lo spagnolo portò a termine, avvalendosi dell’aiuto di Giordano Orsini, nel 1355.

Una volta ripristinato il potere dei Papi, il legato pontificio avviò un progetto di fortificazione dei castelli della Sabina, tra cui quello che ora, nelle fonti, veniva chiamato Cicinianus. Il resto della storia di questo piccolo borgo viene segnato, fino all’Unità d’Italia, da vari passaggi di consegne, orchestrati dallo Stato Pontificio, tra varie famiglie nobili. Particolarmente rilevante, e ancora evidente nell’architettura dei suoi edifici, è stata l’attribuzione, voluta da Papa Niccolò V, agli Orsini nel 1448.

Nel 1860 fu annesso alla provincia umbra di Perugia e infine, dopo un breve passaggio sotto la provincia di Roma, venne inserito nella nascente provincia di Rieti nel 1927.

Un panorama mozzafiato

Il panorama che si gode da questi 271 metri di altitudine è meritevole, da solo, di una visita: si dice che nelle giornate di cielo limpido si possono arrivare a contare fino a 100 paesi diversi, sul cui sfondo si stagliano, maestosi, i vicini Monti Sabini, il Terminillo, il Monte Soratte, la Valle del Tevere ma anche i più lontani Monti Amiata e Cosce, sempre che non ci siano foschia o nuvole.

Siamo sulla sommità di una collina: se lo sguardo viene rivolto alle sottostanti vallate, troviamo coltivazioni di grano, mais, cereali, mentre le pendici collinari sono vocate a vite, ulivo e frutteti. D’altronde, il terreno è qui molto ricco, con una natura argillosa sabbiosa arricchita da depositi plio-pleistocenici di ceneri e frammenti vulcanici.

E, dentro il borgo, ci ritroviamo nel bel mezzo di un cerchio o due di edifici disposti in maniera concentrica, come a proteggere una piccola piazza, la principale, su cui si affaccia la chiesetta parrocchiale. Intorno, le mura di cinta hanno perso le torri che dovevano puntellarle in origine.

La chiesetta parrocchiale sulla piazza

La Chiesa parrocchiale, dedicata al culto dei Santissimi Apostoli Pietro e Paolo, è stata costruita nel 1448, per volere di Orso Orsini, Vescovo di Teano nonché signore del castello. Strutturata su due navate, quella centrale è sovrastata da un tetto a capriate di legno sorrette da colonne, mentre quella laterale, dotata peraltro di un ingresso indipendente, da un tetto liscio.

Risalgono al Settecento i dipinti che raffigurano, rispettivamente, San Damiano che adora la Madonna, e la Madonna con il Bambino, mentre è del secolo seguente il campanile a quattro merli. Entrambi i secoli hanno visto realizzati importanti interventi di rifacimento e restauro. Al piano superiore, un loggiato è collocato nella parte superiore della navata principale: era probabilmente la sede del coro.

L’interno ospita la statua di San Prospero Vescovo di Terragona, che viene poi esposta e portata in processione per le strade del borgo e sulla strada fuori dalle mura ogni 8 di maggio. La rievocazione di questo santo ricorda le sue vicende, quando nel 711, fuggendo dai Saraceni, si allontanò dalla Spagna passando per queste terre alla volta di Roma e del Pontefice.

La presenza degli Orsini e il loro dominio su questo territorio è evidente nel loro stemma, la rosa circondata da barre traverse, campeggiante sulla facciata di un edificio negli immediati pressi della chiesa.

Una strada collega Cicignano a Collevecchio

Cicignano è una piccola realtà, troppo piccola, dal punto di vista territoriale, per costituire un ente a se stante. Talmente piccola da ospitare meno di cento residenti. E quindi risulta essere, dal punto di vista amministrativo, una frazione del più vasto comune di Collevecchio, con cui è unito da una strada, anzi la sua via principale, la cosiddetta Via di Cicignano. Nei tempi addietro, una certa rivalità tra gli abitanti di Cicignano e quelli di Collevecchio riguardava la pertinenza della Chiesa e del Convento di Sant’Andrea, collocata a metà strada tra i due centri, sulla via dei Cappuccini.

Visitabile sicuramente in autonomia, vi consigliamo di monitorare le iniziative delle Associazioni culturali dei dintorni, e delle Pro loco dei comuni circostanti, in primis quella di Collevecchio, che organizzano visite guidate, come quella di cui vi abbiamo parlato qui, e che ha coinvolto nella stessa giornata Cicignano e Fianello.

Il borgo è curato e ben tenuto, nei suoi vicoli lastricati si ha la sensazione di passeggiare nel Medioevo. Come se il tempo si fosse fermato e il XXI secolo, come se questo fosse possibile, cedesse il passo al IX. E infatti i ritmi sono lenti, le distanze brevi, tutto a misura d’uomo: quello che nelle grandi città gli abitanti sembrano aver dimenticato. Nonostante ciò, Cicignano è soggetto a un lento e inesorabile spopolamento: e, quindi, speriamo di contribuire con i nostri racconti alla conoscenza di frammento di Sabina splendido, ricco di storia e meravigliosi paesaggi, di cui ci si innamora a prima vista.


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