Petrella Salto: un piccolo borgo con una storia affollata da personaggi importanti

Petrella Salto: un piccolo borgo con una storia affollata da personaggi importanti

Santa Filippa Mareri

Nel corso dell’XI secolo, in seguito alle invasioni dei Saraceni e dei Normanni, gli abitanti della zona di Petrella Salto, un piccolo borgo della Sabina Reatina che affaccia sul Lago del Salto, furono costretti a rifugiarsi arroccandosi nei castelli e nei centri più sicuri. Il fenomeno dell’incastellamento è proprio ciò a cui Petrella Salto deve la sua nascita: essa sorse infatti intorno a una sorta di sperone roccioso naturalmente ben difendibile e ben approvvigionato dal punto di vista idrico grazie alla presenza di molte fonti. In parallelo, avvenne la sistemazione in feudi: i Mareri erano proprietari dei centri nei dintorni e, con l’acquisto di Petrella, divennero i feudatari del luogo.

È dai Mareri che trasse i natali Filippa, quella che dopo la sua morte sarebbe stata conosciuta come Santa Filippa.

L’agiografia la racconta come una fedele votata all’ascesi e alla penitenza sin da giovanissima, e racconta anche di un (dubbio) incontro con San Francesco. Fuor di dubbio è invece il fatto che la donna entrò in contatto con il messaggio del Santo, tanto che cominciò un percorso di abbandono delle cose terrene, rifiutando perentoriamente il matrimonio cui la famiglia la stava costringendo per interessi economici.

Si ritirò quindi in una grotta, che fu chiamata Grotta di Santa Filippa Mareri, con alcune compagne (maggiori informazioni sulla Grotta e il Sentiero del Pellegrino che conduce ad essa in questo articolo). Dopo la morte del padre, fu convinta dal fratello a ritirarsi presso la chiesa di San Pietro di Molito, che le venne concessa in piena proprietà. Qui, la pia donna creò la comunità per le sue consorelle e accrebbe la sua fama di santità, confermata da una serie di veri o presunti miracoli avvenuti dopo la sua morte, nel 1236. le sue spoglie sono conservate nel monastero di Borgo San Pietro, a pochi chilometri da Petrella Salto. Il suo culto fu riconosciuto nel 1806 da Pio VII.

Maria Costanza Mareri, salvata dai Petrellani

Sulle soglie dell’età moderna, i Mareri erano potentissimi e ricchissimi: lasciata la loro dimora all’interno delle mura di Petrella, si erano trasferiti nella rocca, divenuta una splendida dimora rinascimentale costituita da due plessi. Qui, accade nel 1511 un fatto di sangue che destò molto scalpore all’epoca, noto come “primo giallo della Petrella”, e che portò alla strage di tutti i Mareri.

L’uccisione di (quasi) tutta la famiglia dei Mareri fu perpetrata da Giacomo Facchini, a seguito del rifiuto dell’attribuzione della dote alla moglie, figlia naturale del conte. Si salvò, in maniera rocambolesca, con una fortunosa caduta, solo la giovanissima Maria Costanza, che all’epoca aveva solo undici anni. Fu gettata da una finestra dalla rocca da uno degli oltre duecento uomini che aiutarono Giacomo Facchini nello sterminio e si impigliò con le vesti nei rami sporgenti, e venne soccorsa dagli abitanti del luogo. La giovane si rifugiò a Roma, sotto la protezione del Papa, e tornò a Petrella solo dopo sposata.

Una volta rimasta vedova, vendette i suoi possedimenti, dove pure visse per tutto il tempo che le rimase, che finirono nelle mani dei Colonna. Fu così che i Mareri scomparvero dalla storia di questa zona.

Il culto di Santa Maria Apparì

Sotto la potente famiglia romana dei Colonna, Petrella crebbe sotto il profilo storico- artistico. Proprio a questo periodo risale la costruzione del Santuario di Santa Maria Apparì, cui è legata la storia di un’altra figura femminile di Petrella Salto, quella della tredicenne popolana Persiana Faina.

Nell’anno 1562, mentre stava raccogliendo ciliegie acerbe da un albero del padre, secondo la tradizione la giovane fu colpita da un forte dolore al braccio che le impediva di scendere dall’albero, per cui cominciò a pregare, sgranando il suo rosario. A quel punto, le apparve una signora vestita di bianco, che l’aiutò a scendere prendendola per quel braccio che tanto le doleva.

A lei Persia allungò le ciliegie, a mo’ di ringraziamento, e queste maturarono improvvisamente. Colei che venne a questo punto riconosciuta come la Madonna, chiese alla ragazzina di chiedere ai compaesani di convertirsi e di fare penitenza. Fu grazie all’intervento della contessa Orinzia Colonna, e all’elargizione di settemila ducati, che il Santuario di Santa Maria Apparì fu costruito proprio nel punto in cui avvenne l’apparizione. L’edificio, con una pianta ottagonale iscritta in un quadrato, è notevolmente interessante. Ogni ultima domenica di maggio a Petrella Salto, nel Santuario, si tiene una festa in ricordo di quegli eventi miracolosi.

Beatrice Cenci, giustiziata insieme alla matrigna

Siamo sul finire del Cinquecento. Il patrizio romano Francesco Cenci, insieme alla seconda moglie Lucrezia e alla figlia Beatrice, scappò da Roma e dai debiti, rifugiandosi nella rocca della Petrella dall’amico Marzio Colonna. Francesco era un uomo turpe, violento, che seviziò e stuprò ripetutamente la figlia, tenendola quasi segregata anche nel timore di doverla dare in sposa e di dover in parallelo sborsare una dote.

La ragazza, aiutata da altri congiurati e dalla matrigna, tese un agguato mortale al brutale genitore, fingendo una caduta accidentale dal balcone. Tuttavia, le autorità ecclesiastiche andarono a fondo nella vicenda, e un esame del cadavere permise facilmente di capire come le ferite riportate non fossero compatibili con il racconto dei presenti. La giovane ragazza, allora ventiduenne, fu decapitata, dopo interrogatori e torture, di fronte a Castel Sant’Angelo a Roma insieme alla matrigna, alla presenza di una folla di curiosi. Folla in cui, tra l’altro, erano presenti Caravaggio e Artemisia Gentileschi. Era il 1599.

La vicenda colpì profondamente l’immaginario collettivo non solo di Petrella Salto: a Roma la leggenda del suo spettro è molto radicata, aiutata sicuramente anche dall’assenza di spoglie terrene, che vennero tumulate sotto una croce senza nome e violate in seguito da soldati francesi.

L’efferatezza della punizione fu dovuta essenzialmente al clima che si era venuto a creare nello Stato Pontificio: dopo alcuni fatti di sangue da poco accaduti, il Pontefice aveva bisogno di un gesto simbolico per riportare l’ordine. E sicuramente le richieste di grazia avrebbero avuto maggior seguito se Beatrice avesse dichiarato di aver subito abusi sessuali del padre orco, cosa che non fece mai.

Non solo donne famose nella storia di Petrella: il brigante Berardo Viola

La storia del brigante Viola è eternata da un grande della nostra letteratura, Ignazio Silone, che nel descrivere il suo personaggio Berardo Viola in Fontamara, lo ricollega al famigerato nonno, come a dire che quello che sarebbe diventato poi, lo aveva già nel sangue fin dalla nascita: “Quelli che non conoscono o hanno dimenticato questi fatti, ora sono facilmente ingiusti verso Berardo e preferiscono spiegare il suo destino rifacendosi alla vita del nonno, il famoso brigante Viola, l’ultimo brigante delle nostre parti giustiziato dai Piemontesi…

Berardino Viola, nato nel 1838 nel territorio del comune di Pescorocchiano, sempre in provincia di Rieti, è collegato indissolubilmente a Petrella Salto. Si trasferì, infatti, giovanissimo insieme alla sua famiglia nella frazione di Teglieto. Una fanciullezza e una primissima gioventù scapestrata furono inizialmente imbrigliate nell’entrata nei corpi militari dell’epoca; ma quelli erano anni di grandi sconvolgimenti politici e sociali, con l’annessione dei comuni del Cicolano al Regno d’Italia, e Viola non sarebbe rimasto dalla parte giusta della storia a lungo.

Infatti, aderì e sobillò una serie di manifestazioni e tumulti popolari contro i Sabaudi per ripristinare i Borboni, ritenuti i legittimi regnanti, non temendo di usare ricatti, sequestri e assalti vari. Arrestato, evase nel 1862 dando vita a una banda di briganti efferata e temibile. La sua “carriera” nel brigantaggio durò fino al 1901 con alterne vicende, quando fu arrestato e condannato all’ergastolo. Morì 5 anni dopo nel carcere di Santo Stefano, lasciando intorno alla sua figura un’aria quasi di leggenda.

I Ratti della Sabina cantano di Berardo Viola
La band musicale Sabina, il cui nome prende spunto dal famoso Ratto delle Sabine, è stata attiva dal 1996 al 2010, quando l’ideatore Roberto Billi decise di lasciare il gruppo per dedicarsi alla carriera come solista. In quell’anno i Ratti della Sabina cambiarono nome in Area 765, prendendo spunto questa volta dal prefisso telefonico (0765) della zona della Bassa Sabina.

Nei 14 anni di attività, i Ratti della Sabina cantarono anche delle gesta di Berardo Viola, protagonista del pezzo La Morale dei Briganti, contenuto nell’album Circobirò del 2003. Le strofe raccontano di un brigante che non era affatto un santo, ma che a suo modo aveva aiutato della povera gente a sopravvivere. Una sorta di Robin Hood moderno! La morale è una sola o ha ragione anche Berardo Viola?, si chiedono i Ratti della Sabina.

Se sei curioso di saperne di più sulla storia di Berardo Viola, leggi il testo della canzone dei Ratti della Sabina:

Per entrare nella storia,
Nella labile memoria dei futuri cittadini
Spesso servono i quattrini, non importa come fatti
Se per meriti o misfatti, l’importante è accumulare
Un patrimonio immobiliare che ti renda anche potente
Agli occhi della gente, perché se non ti fai grande ti ritengono un brigante.
E’ su questo che io rifletto dopo aver letto e riletto
La richiesta di Berardo fatta a un nobile boiardo
E mi pongo il dubbio arcano che assillò il genere umano,
La morale è una sola o ha ragione anche Berardo Viola?
Voi di certo non sapete di quando chiese cento monete
Ad un ricco e gran signore perché vide il suo garzone che allungava la mano
A rubare il biondo grano, e di nascosto caricare quattro sacchi dal casale.
Giudicando questo fatto un gravissimo misfatto
La sua acuta intelligenza ruppe ogni reticenza
E Berardo, reo brigante, ebbe un lampo fulminante e disse:
“Ma se ruba anche il garzone già pagato dal padrone,
Sarà legge, o no, perdio, che gli rubi pure io
Prima d’esser fucilato come un uomo disperato?”
Io non credo sia mai andato a scuola,
Ma è scaltrissimo, Berardo Viola
Ma il quesito è illuminante, proprio di chi ne sa tante
E rispondo, sì Berardo hai ragione ma in ritardo
Perché il ricco se potente è persona intelligente
Ma se non diventa grande è un terribile brigante
Stabilire ciò che è male è un’impresa colossale,
Quando c’è chi pranza e cena
E chi ha il pane a malapena.
Chiedo a voi gran professori, ai giuristi o ai signori
La morale è una sola o ha ragione anche Berardo Viola?
La risposta, ascoltatori, farà sudare molti dottori della legge, moralisti e anche noi poveri cristi
Io mi affido alla coscienza, e alla vostra intelligenza.


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