La cronaca di un giorno come tanti
Era un normalissimo giorno in Sabina, quello del 25 agosto del 1960. Un velivolo dell’Aeronautica Militare Italiana, un Beechcraft di tipo C 45, indicato dalla sigla ZR, decollò all’aeroporto militare di Guidonia, pur essendo parte della flotta del Centro di Soccorso Aereo di Vigna di Valle, sul lago di Bracciano. Scopo del volo era una banale esercitazione, parte integrante dell’addestramento che i militari dell’aria compiono regolarmente, a seguito di un intervento di manutenzione sull’apparecchio, pure quella, operazione di routine.
L’equipaggio era formato da quattro uomini. Le cronache dell’epoca ci restituiscono i loro nomi e i loro gradi: il tenente pilota Loris Barbisan, il sergente montatore Elio Pizzarri, il sergente maggiore montatore Alfonso Lorenzi, il sergente elettricista di bordo Luciano Locatelli. Quaranta minuti di volo, iniziati nel modo migliore.
Un volo breve
Da Guidonia, il velivolo prese inizialmente quota, dirigendosi verso i Lucretili. Il suo breve viaggio si infranse a 1100 metri di quota, contro le pareti del Pellecchia, la più alta delle cime dei Monti Lucretili, precisamente presso la località conosciuta con il nome di Colle delle Pere. Inspiegabile perché l’esperienza e la perizia dell’equipaggio non avrebbero dovuto mantenere l’apparecchio a quella quota, ben sapendo che il Monte Pellecchia misura 1368 metri di altezza. I serbatoi, ancora ben forniti di carburante, nell’impatto presero rapidamente fuoco. Gli aviatori, se non con lo schianto, morirono carbonizzati. All’agghiacciante scena assistette impotente un contadino della zona, il primo a lanciare l’allarme. Non esistevano telefonini, e l’uomo corse nel più vicino paese per avvertire i Carabinieri e chiamare i soccorsi.
Prima dello schianto
L’episodio viene raccontato anche dallo scrittore Leonardo Colombati nel suo 1960, edito per Mondadori. Ci riferisce la rotta tenuta dal C45, che passò anche per Fiumicino. L’aeroporto era ancora chiuso in attesa che i lavori terminassero, dopo un ulteriore stanziamento di molti miliardi di lire. Lo scandalo di corruzione e malaffare relativo alla grande infrastruttura fu oggetto di qualche battuta tra i quattro militari, così come la scatola nera ha catturato. I più attivi nel discorso erano Locatelli e Barbisan, il primo in una difesa di quell’ex colonnello Amici a cui i lavori erano stati affidati, il secondo con risposte brevi e quasi al limite della condiscendenza. Le chiacchiere si interruppero bruscamente, sfumate in una trentina di secondi di rumori di sottofondo. L’aereo si schiantò tra gli aceri del Pellecchia.
Il relitto ormai integrato nel paesaggio circostante, nel cuore di un’area protetta
Ad oggi, testimonianza dell’accaduto sono i resti dell’apparecchio, rimasto lì come una sorta di reliquia e meta degli escursionisti provenienti dalla Sabina e dalla vicina Roma. Insieme a una croce, e a una targa in memoria. Intorno, alberi, e bosco, e ancora alberi. In un contrasto portatore di un significato quasi mistico, i resti di un’impresa umana, ricongiunta con la natura contro la quale si è infranta, ma senza mai farci pace. Senza integrarsi con il resto, mostrando tutta la sua alterità.
I resti dell’aereo sono lì, senza una recinzione, alla mercé di chiunque. Anche di chi, non mostrando molto rispetto, se ne porta via un pezzetto come un banalissimo souvenir: gli escursionisti affezionati a questo itinerario raccontano di vederne ogni volta un pezzo in meno. Non dovrebbe stupirci troppo, ma addolora ugualmente.
Sulla cima del Monte Pellecchia, alla base della croce si trova una pala dell’elica del Beechcraft.
Il silenzio di questo posto, rotto solo dai rumori del bosco, sembra voler rendere giustizia ai quattro uomini deceduti nell’incidente. Il tutto è quindi incastonato in una natura dilagante, nel Parco Naturale Regionale dei Monti Lucretili, il più grande del Lazio, che la Regione ha istituito una trentina di anni dopo la tragedia, bloccando i famelici appetiti di chi voleva buttarci sopra cemento e farci strade carrozzabili. E qui parliamo di una ricchezza di biodiversità, di un polmone verde, tanto più sorprendente quanto più pensiamo alla vicinanza con la trafficatissima e inquinatissima Capitale – il territorio protetto comincia da Palombara Sabina, posta all’interno della Città Metropolitana di Roma Capitale, appena fuori dalla città.
Il parco regionale dei Monti Lucretili, natura e storia in luoghi incredibili
I Monti Lucretili sono una parte dell’Appennino laziale, e ci propongono un tipico paesaggio calcareo, come la Sabina ci ha abituato altrove. Una coppia di aquile reali nidifica regolarmente tra queste cime non troppo alte, così come molti altri rapaci. L’ente Parco certifica anche la presenza di esemplari, sporadicamente avvistati, di lupo, mammiferi come istrici, volpi, e persino cinque diverse specie di pipistrelli. Gli anfibi trovano invece un habitat ideale nei laghetti di Percile.
Anche la flora è ricchissima, visto che il 70% dell’estensione del parco è coperta da boschi, ed è stata studiata, tra gli altri, dal celebre studioso Federico Cesi, a cavallo tra il Cinque e il Seicento. E quindi aceri, ma anche faggi di notevoli dimensioni, e fiori di moltissime specie, tra cui variopinte orchidee.
L’opera dell’uomo, con testimonianze storiche di altissimo valore artistico, ne è come incorniciata. Vale la pena visitare la Villa di Orazio, donata da Mecenate al poeta latino nel 33 a.C., ora nel territorio del comune di Licenza (RI), testimone delle sue estati in campagna, di ispirazione per molte sue immortali composizioni. Poco distante, si può ammirare il Ninfeo degli Orsini, struttura eretta nel XV secolo, scavata in una collina da cui sgorga quella che probabilmente è l’acqua della celebre Fons Bandusia cantata da Orazio. Degno di menzione è inoltre il Giardino dei Cinque Sensi, in cui i visitatori esercitano olfatto, tatto, vista, udito e gusto immergendosi in una natura resa accessibile per tutti, disabili compresi, in una delle attrattive più note del Parco.
Il quadro storico, cosa accadeva il giorno della tragedia del Pellecchia
Il 1960 è stato un anno davvero denso di avvenimenti, per gli italiani. Proprio in quel 25 agosto, venivano inaugurate le XVII Olimpiadi, e il corteo con gli atleti provenienti da tutto il mondo sfilava sotto gli occhi degli spettatori che riempivano gli spalti di quello Stadio Olimpico, costruito da Mussolini, reso più moderno e restaurato per la manifestazione sportiva. Grande meraviglia destò la visione degli atleti delle due Germanie che sfilavano insieme, come fratelli quali erano. E ancora l’immagine poetica di quel corridore africano, Abebe Bikila, che qualche giorno più tardi conquistò la prima medaglia d’oro per il Continente Nero, stabilendo il nuovo record mondiale, a piedi nudi – anche l’Etiopia aveva uno sponsor, ma le scarpe fornite all’atleta facevano male! Queste sono forse le cartoline più a fuoco nella mente di quella generazione di italiani. Coincidenze amare della storia, che nel frattempo si consumasse la tragedia del Pellecchia.
Come arrivare al luogo dell’incidente del Pellecchia
Gli amanti del trekking, ma anche gli appassionati di storia, possono vedere i resti del relitto incamminandosi lungo il sentiero 312 del Parco dei Monti Lucretili: lungo la parte definita sulle carte come 312A, verso Pizzo Pellecchia, si passa proprio davanti ai resti del C45. Si arriva facilmente all’imbocco del sentiero dopo aver oltrepassato il paese di Monteflavio (RM).
Come arrivare a Monteflavio? Beh, non siamo distanti da Roma, quindi il Grande Raccordo Anulare capitolino si può percorrere fino all’uscita numero 8, dove ci si immette sulla via Salaria in direzione di Rieti. Per chi, invece, proviene dall’autostrada A1, uscendo in corrispondenza di Fiano Romano, si ritroverà sulla via Salaria.